Il 10 giugno 1944 l’arrivo degli alleati a Chieti
Scritto e rielaborato da Licio Esposito
Sono passati moltissimi anni, ma noi che abbiamo vissuto gli avvenimenti della liberazione della nostra città non possiamo dimenticare.
Siamo stati testimoni di qualcosa che nessuno pensava di essere coinvolto in una tragedia del nostro Paese e che nessuno di noi avrebbe pensato.
Da allora molto cose sono cambiate e noi eravamo consapevoli e non si pensava altro che con ottimismo agli anni a venire.
Certamente eravamo ragazzini ma cresciuti in fretta ed era già finita per noi l’epoca dei giochi ma in vista c’era l’avvenire e il futuro delle nuove generazione, che eravamo noi.
La data del 10 giugno per noi è stato uno spartiacque che aveva diviso la vecchia Europa da un mondo che si presentava con moltissimi problemi che il nostro entusiasmo ci induceva agli ottimismi e ad una nuova vita che si apriva all’orizzonte.
Gli sfollati in città erano moltissimi e si viveva ormai con grande solidarietà e comunione e abbiamo conosciuto tante persone che poi sono rimaste in città residenti. Si sono strette amicizie poi coltivate con il tempo, conoscenze di persone semplici, leali e molto pazienti.
A fianco al mio appartamento ve n’era uno più piccolo, allora vuoto, che poteva contenere pochissime persone, credo che fosse occupato da almeno 15 persone provenienti dalla zona di Tollo. Avevano portato con sé alcune provviste che ci offrirono e che noi non avevamo, ma avevano bisogno di tante cose e la lontananza dal loro paese era molto sentita.
Rifiutammo per quanto ci offrirono e certamente noi ci sentivamo imbarazzati perché, forse, non potevamo offrire loro molto. In ogni caso la solidarietà era notevole e ci sentivamo legati ai loro disagi di un cambiamento notevole delle loro abitudini.
Questa prima esperienza di vedere situazioni disagevoli certamente ha fortificato tutti i ragazzi della mia età e ci hanno permesso, in seguito, di capire e comprendere meglio il problema della convivenza tra le genti. Certamente le culture erano diverse perché noi ci sentivano ”cittadini” e loro provenivano da piccoli centri e poi dalla “campagna”.
Ammetto che allora noi avevamo o sentivamo una specie di sentimento di superiorità dovuto principalmente al vivere quotidiano in una comunità di una città che si era trovata di fronte a problemi enormi.
Tutte queste persone erano delle vicine località che distavano pochi kilometri dalle linee del fronte Adriatico.
Già ai primi di maggio cominciava a tirare aria di qualcosa che doveva avvenire, anche in riferimento agli avvenimenti militari che già si vociferava, essere a qualcosa che avrebbe cambiato gli avvenimenti.
In città uscì un manifesto, ai primi di maggio, che invitava tutti gli uomini idonei tra i 16 e 60 anni di presentarsi al comando carabinieri per servizio di lavoro. Ci furono diverse esenzioni e gli studenti ebbero un tesserino di riconoscimento per l’esenzione. Questo però fu l’ultimo manifesto che il presidio militare tedesco fece. Non ebbero il tempo materiale per la sua applicazione.
FRONTE ADRIATICO-TIRRENO. La Linea “GUSTAV” è rappresentata dalle linee a tratteggio.
Insomma c’era un gran fermento e nel mentre c’era un’aria diversa in giro perché si era nell’attesa di qualcosa che probabilmente avrebbe cambiato la nostra vita e noi ragazzi eravamo molto fiduciosi di questo. Una cartina semplice e sintetica ci illustra la posizione del fronte, con tratteggio, con le zone interessate.
In quel periodo ci fu un movimento di molti mezzi corazzati che transitavano da Via Valignani, era molto intenso e rumoroso e faceva pensare che qualcosa stesse succedendo.
I bombardamenti di artiglieria ed aerei si era intensificati sia nella nostra zona periferica che nella zona industriale di Chieti scalo anche riferendoci a ciò che dicevo prima.
Molto movimento logistico militare. Si comincia a vociferare che molti stabilimenti di Chieti Scalo sono minati, poi che i tedeschi hanno sistemato delle mine lungo un tratto di strada che portava dalla Pietragrossa al Tricalle e che era a ridosso d’alcune caverne che erano usate da noi per rifugio antiaereo, per una lunghezza di circa quattrocento metri.
Si vociferava che non avremmo avuto acqua ed elettricità nell’imminenza della ritirata delle truppe tedesche e l’arrivo degli alleati. In effetti, le nostre pene non cessarono e alcune mine piazzate dai genieri tedeschi ad alcune apparecchiature della centrale elettrica e nelle zone dell’acquedotto danneggiarono esplodendo questi servizi.
Per circa un mese fummo costretti a tirare fuori le lampade a petrolio che avevano adoperato nel mese di novembre, quando si decise di sfollare per almeno un mese in campagna nella zona del Tricalle, per sfuggire alle cannonate che, specie nel nostro rione, erano più frequenti per avere come obiettivo il comando tedesco situato nell’Ospedale Civile che era stato già evacuato.
Poi fu ristabilito il servizio.
Per l’acqua la cosa si fece molto difficile, almeno per noi, perché fummo costretti a fornirci da una fontanella posta in zona Pietragrossa, ma in una zona di campagna dopo aver percorso un sentiero impervio. Forniti di un carrellino io e mio fratello insieme ad altri facevamo una specie di staffetta riempiendo le nostre damigiane di acqua.
Durò qualche settimana e l’avvenuta liberazione si presentava già con amarezza, ma si era consapevoli che stava per arrivare la fine di tutte le peripezie.
L’inconveniente della luce e dell’acqua prevista erano stati affrontati ormai con spirito di sopportazione e meno male che almeno il gas funzionava. Ma ci dissero che squadre di operai dissuasero i tedeschi che volevano far saltare in aria tutto. Ma le autorità di allora ricorsero ai comandi tedeschi per un accordo che avevano fatto in precedenza. Comunque il gas c’era.
VIA VALIGNANI. CHIESA DEL SACRO CUORE, a sinistra la strada porta verso il fronte ed in fondo si intravede la Caserma Berardi.
Le truppe italiane ed alleate fecero il loro ingresso in questa parte della città, venendo dalla strada alla sinistra.
Maggio 1944. LA “NEMBO” E’ AGGREGATA ALL’VIII ARMATA. Il fronte dove operava il C.I.L. si estendeva da Cassino – Monte Marrone- fiancheggiava il fiume Sangro – Orsogna- Crecchio-Canosa-Chieti.
Le unità impegnate incontrarono una tenace resistenza ma andarono avanti e potevano dirigersi verso Frosinone e quindi verso la capitale Roma. La “Nembo” entra in azione nella zona di Picinisco con brillanti risultati. Gli alleati lodarono le azioni del C.I.L, CHE FU DIROTTATO VERSO LA MAJELLA per rimpiazzare una divisione indiana sulla linea Paglieta-Crecchio ed altre forze alleate.
Da qui comincia la storia della “Nembo” nel fronte adriatico e a metà giugno la Divisione liberò l’Aquila insieme alla Brigata Majella che già operava nella zona di Pizzoferrato.
Gli alleati si dirigevano su tre direttrici di marcia; Lanciano-Giuliano, Guardiagrele-Chieti, e Pennadomo-Palombaro per aggirare la Majella e avvicinarsi al fiume Pescara.
4 giugno 1944
Liberazione di Roma, con gli alleati fece il proprio ingresso anche il gruppo di combattimento “Friuli” e reparti di carabinieri con compiti di polizia militare.
6 giugno.
Sbarco alleati in Normandia.
Villa Rogatti di Ortona a mare. Vendemmia delle pregiate uve da tavola e da vino.
In questa campagna erano dislocate le retrovie del fronte Adriatico Ortona-Orsogna. Furono ritrovati molti corpi di soldati di entrambi gli eserciti, dopo molti anni.
Si aveva notizie sui vari fronti e tutti erano convinti che la liberazione fosse più vicina di quanto noi pensassimo. Qualcuno già si preparava per il dopo e cercava di leggere sui giornali qualche spicchio di verità.
Villa Rogatti di Ortona a mare.
Strada che porta in fondo al vallone e al fiume Moro. Qui c’era la linea del fronte adriatico che
Con la sua dorsale raggiungeva la vallata del fiume Foro: di qui Villa Rogatti d’Ortona a mare (località dove a settembre il Re ed il suo seguito s’imbarcò sulla corvetta “Baionetta”).
Di là Frisa e Lanciano dove era attestata la VIII^Armata dove operava il generale Volkes comandante della Divisione Canadese che sostituì il 2 dicembre 1943, la 78^ divisione già sul fiume Sangro.
Al di qua Villa Rogatti d’Ortona dove erano attestatele truppe del generale Pfeiffer oltre ancora ad altre unità quali la 305^ Divisione di fanteria che si ritirò ai primi di giugno per dirigersi al NORD.
10 Giugno 1944. Come accadde.
Per la cronaca il 9 giugno, prima dell’arrivo del VIII armata inglese (perlomeno noi credevano solo questi), le mine di cui aveva accennato nella zona Pietragrossa, furono parzialmente rimosse perché non tutte scoppiarono.
Non sappiamo se l’azione di rimozione era stata eseguita da alcuni elementi partigiani e da carabinieri o dalle prime avanguardie della “Nembo” che sono entrate a Chieti.
Si seppe poi che nel tardo pomeriggio, tra partigiani e carabinieri e i guastatori tedeschi ci fu uno scambio a fuoco. I tedeschi si allontanarono per tornare poi con qualche mitraglia pesante ma alla reazione preferirono abbandonare, dopo aver fatto brillare qualche mina sulla strada ma senza grandi danni.
Nel pomeriggio si era sparsa per la città l’imminente arrivo degli alleati in città, noi eravamo in un certo senso preoccupati e felici nello stesso tempo.
Erano circa le 17 e stavamo sul balcone di casa che dava sulla Via Malignai e potevamo vedere oltre la strada sottostante che conduceva a Sant’Anna, quindi da lì dovevano venire i soldati alleati.
Potevamo vedere anche l’altra strada che si diramava e conduceva a Via G. D’Aragona, insomma era un punto d’osservazione.
La gente era quasi sparita e noi eravamo in ansia per quello che stava per succedere.
Qualcuno era in strada e mentre si aspettava qualcosa che doveva succedere, ecco, dopo varie decine di minuti, che alcuni uomini armati-partigiani fecero la loro apparizione cercando di allontanare con decisione e fermezza, pistole in pugno, le pochissime persone nella zona, in previsione forse di qualche scontro armato con alcuni militari tedeschi che ancora si aggiravano per il rione.
Qualcuno era del nostro rione e la cosa ci meravigliò moltissimo e capimmo che nella nostra città si erano formate anche delle piccole formazioni partigiane. Allontanarono il papà di un nostro vicino perché era sceso in strada e si attardava sulla piazzola antistante al tabaccaio di Via valignani.
Dopo di una certa confusione, diverse voci annunciavano che una pattuglia di militari era in vista all’altezza della chiesa dei frati del Sacro Cuore.
All’incirca erano le 18 ed ecco che dal nostro balcone vedemmo due o tre paracadutisti armati che venivano avanti con fare circospetto lungo la Via Valignani verso Piazza Garibaldi.
Le loro uniformi erano da paracadutisti: fucile mitragliatore in mano, casco e pantaloni allacciati alle caviglie, mi sembra che uno era scamiciato ed un altro con giubba grigio verde.
Erano paracadutisti italiani della divisione “Nembo”!
La rimessa del tram com’è adesso. Nel punto dov’è la macchina bianca che sta per girare, una pattuglia della “Nembo” proveniente dalla direttiva Ripa Teatina –Tollo-Miglianico si fermò prima di proseguire…. erano paracadutisti della 38a Compagnia del tenente Cavallero…dopo aver parlottato con alcuni partigiani usciti allo scoperto….proseguirono verso il centro….>>.
Intanto si sentiva dal balcone un gran vocio di gente che inneggiava e qualche secco comando e non si sapeva da dove provenissero. Sullo spiazzo tra Via Valignani e rione D’Aragona apparvero questi partigiani che si incontrarono con i militari della Nembo e parlottarono fra loro sempre circospetti.
Poi si seppe che stavano dando notizie d’alcune retroguardie tedesche che erano rimaste in città, insomma di piccole sacche che non avevano fatto in tempo a ricongiungersi con i compagni che si stavano ritirando verso il Nord.
Noi non sapevamo affatto che truppe italiane operassero sul versante adriatico con la VIII^armata inglese. Invece era così e la nostra gioia fu centuplicata per l’avvenimento. La notte fu d’attesa e quasi insonne per la mattina seguente con l’arrivo imminente del grosso delle truppe.
I tedeschi intanto si erano ritirati e qualche sparo in città indicava che sporadiche retroguardie tedesche erano impegnati da diversi partigiani che erano usciti allo scoperto. La mattina seguente in una giornata di sole e di gioia soldati italiani della divisione “Legnano” fecero il loro ingresso proveniente dalla zona di Sant'Anna, successivamente avanzarono i carri armati inglesi con truppe alleate, neozelandesi, polacchi e indiani.
Era la giornata che si aspettava da mesi! Giorno 10 giugno 1944 ore 9-10)
Insieme con altri amici ragazzi, eravamo sul ciglio di Via Valignani all’altezza dello spiazzo e si aspettava che arrivassero dal fondo della strada erano italiani o inglesi?
Il momento dell’avvistamento delle colonne non credo di dimenticarlo, era bellissimo e non potevamo credere ad un avvenimento del genere potesse accadere nella nostra città.
A pensarci adesso mi vengono i brividi. Da ragazzi nel nostro quartiere si giocava alla guerra, ed ora ci sembrava alquanto strano che invece ciò che si faceva per gioco, ora era qui da noi nella realtà. Quante armi abbiamo visto? Tanti.
Erano i motorizzati tedeschi che transitavano sulla nostra strada come fosse il Corso Marrucino, gli aerei che rombavano sulle nostre teste, gli aerei abbattuti dalla contraerea, paracadutisti che si lanciavano dall’aereo in fiamme, i bombardamenti dei caccia alleati che si lanciarono in picchiata verso la zona di Santa barbara dove erano motorizzati tedeschi.
Il fuoco che usciva dalle loro mitraglie, sono cose che sono state vissute nella nostra regione e che fino a pochissimo tempo non si poteva immaginare.
Eravamo stati smentiti la sera prima con l’arrivo degli italiani della “Nembo”, noi aspettavamo ancora gli “inglesi” che non vedevamo. Ecco in fondo qualcosa si muove, alcuni militari appiedati marciavano sui due lati della strada, ci siamo diretti verso la Chiesa del Sacro Cuore e abbiamo visto dei militari italiani.
Ci siamo avvicinati ed erano degli Alpini con tanto di penna nera e noi chiedemmo ad uno di loro era una domanda che racchiudeva tutto il nostro stato d’animo per qualcuno che ci doveva liberare ma che non avevamo notizie sull’andamento della guerra sul fronte a noi vicino.
La risposta fu: La frase non la ricordo bene ma il senso era quello che ho scritto. Inneggiammo all’Italia e ci rendemmo conto veramente della pagina storica che stavamo vivendo.
Il nostro modo di pensare dopo l’8 settembre era molto cambiato. Non riuscivo a capire cosa era successo, soldati italiani? Non si sapeva nulla di nulla e poi i notiziari sentiti furtivamente dava notizie in generale.
Ho tentato di dare una spiegazione sull’avvenimento ed io ho cercato di farlo nell’appendice delle operazioni militari.
Non si può spiegare appieno ciò che a quella età si pensava.
Però lo choc della giornata precedente con l’arrivo della Nembo fu choccante e nessuno si aspettava che all’entrata delle truppe di liberazione ci fossero i nostri soldati. Una riflessione andrebbe fatta in merito.
Le truppe calcarono tutto il percorso tra le due caserme a me molto care e conosciute, delle due Berardi e Vittorio Emanuele conoscevo quasi tutto, poi la seconda era così vicino alla nostra abitazione(dalla foto presa dal balcone Est si può notare l’infrastruttura militare).
La notte ci si addormentava con il famoso silenzio delle camerate, che ritrovai poco dopo nel mio servizio militare. Come sempre accennato il mio Rione era anche la residenza di tutti i militari e il comandate del 14° RGT Fanteria era il colonnello Barone che abitava nel palazzo INCIS appena dopo la mia abitazione.
Reggimento che prima sul fronte francese e poi sul fronte greco-albanese, pagò un prezzo abbastanza alto per poi sciogliersi l’11 settembre 1943 in Grecia.Questo fatto mi ha sorpreso e molti interrogativi si sono posti nel mio pensiero.
Il mio piccolo nucleo del Rione era “affollato” di sottufficiali cioè in maggioranza di marescialli e loro famiglie.
CHIETI. Vista Da Casa Della Caserma Vittorio Emanuele (Ora Caserma Spinucci), con il suo torrione e le due antenne radio. La visuale dal balconcino è sul lato Est con vista del mare Adriatico. Durante la guerra era la sede del 14°Rgt.. Fanteria della Divisione Pinerolo, combatté sul fronte Greco-Albanese.Alla fine della guerra divenne sede di uffici militari.
Questo arrivo delle truppe italiane, in un certo senso, aveva modificato il nostro modo di guardare la realtà. Noi c’eravamo ancora, credevamo tutto distrutto ma la riscossa era tutta lì nella risposta di quel soldato italiano.
Da allora ho capito che bisognava conoscere tutti i fatti della nostra storia contemporanea e conoscere come sono andate le cose, dalla fuga del re, di cui sono stato fortunato osservatore privilegiato nell’arrivo dei generali a Via Valignani, alla conoscenza di come le truppe italiane fossero qui da noi per liberarci.
Allora dopo l’8 settembre non tutti abbandonarono? Così con il passar del tempo ho comprato libri, consultato scritti e memorie di entrambe le parti e ho potuto capire abbastanza del nostro destino. La mia identità nazionale ha avuto allora il sopravvento ed avevo molte speranze in più del periodo appena passato.
Alcune testimonianze:
Della zona della Villa Comunale, da Nicola da Bologna=….sbucarono guardinghi alcuni armati che spararono qualche colpo. Mio nonno ed io ci rifugiammo dentro il Seminario Regionale da cui vedemmo arrivare altri uomini armati. Dopo poco si presentarono sempre più numerosi uomini.
In seguito quella via fu chiamata della Liberazione e su Viale 4 novembre esiste ancora una lapide a memoria. Non ho ricordi successivi ma questo episodio è molto vivo.
Risposta al sig. Nicola:
Carissimo Nicola,
Mi fa molto piacere di risentirla e per un argomento a noi molto importante e storico. Ho inserito una foto del campo della Civitella con lo sfondo del Seminario Regionale, credo che si riferisca a questo e non a quello Arcivescovile che sta vicino all’ex Ospedale civile e alla Pescheria.
L’importanza mi giustifica una riflessione ed è questa: le sue precisazioni mi convincono ancora che la storia di Chieti in quel periodo non è stata ancora scritta nella sua completezza.
Saranno singoli episodi che molti, magari non danno l’importanza che meritano, ma se si potessero riunire tutte le informazioni si potrebbe rendere molto veritiero tutto ciò che avvenne in quel periodo. Io parlo della testimonianza di persone presenti all’epoca, senza che la storia sia riportata da altri che non sono stati testimoni oculari.
Dico questi perché Lei mi parla delle due strade abbastanza principali poste in zone rionali opposte alla mia raccontata che fa riferimento a via Valignani. Infatti, il mio amico Franco L., anche lui ha scritto le sue testimonianze che si riferiscono appunto alle zone che lei ha nominato: Viale Liberazione, Viale Amendola, via IV Novembre.
Ci sono dei passaggi differenti e diversi rispetto a quanto scritto nei miei articoli ma che coincidono nella sostanza.
L’arrivo della Nembo e la nostra felicità, gli indiani con i loro accampamenti. L’arrivo degli “alleati” da due posizioni del fronte diverse, quella adriatica e quella montana.
Da Franco Lam…. da Varese=…Con l’arrivo degli alleati la vita tornò alla normalità, almeno per noi ragazzi, e tornammo a giocare per strada.
Il nostro viale il giorno stesso della partenza dei tedeschi fu chiamato viale Giovanni Amendola (già XXVIII ottobre). Gli fu assegnato dal figlio del mio padrone di casa, vecchio antifascista.
Ricordo che munito di una scala, di un barattolo di vernice verde e di un pennello ne scrisse il nome a grandi lettere sul muro della casa del mutilato………………….
Il fatto che quelli di via della Liberazione (già Via Roma) possedevano gli elmetti tedeschi ci incuriosì. Dove li avevano trovati? Fummo informati che nelle campagne intorno a Chieti i tedeschi avevano abbandonato, durante la precipitosa ritirata, non solo gli elmetti ma anche vario materiale di guerra come proiettili per la contraerea, per i cannoni e per le mitragliatrici…………...
Ho già detto che i primi soldati che arrivarono a Chieti, per incalzare i tedeschi in ritirata, furono i paracadutisti italiani della divisione Nembo. Era il 9 giugno del ’44 durante il pomeriggio.
Noi eravamo per strada a fare niente. Già il giorno prima si era capito che i tedeschi si stavano ritirando perché in città non circolavano più né automezzi né soldati. …….
Poco dopo cominciammo a scorgere pattuglie di soldati a piedi, in tute mimetiche, un distanziato dall’altro di alcuni metri, in fila indiana rasenti il muro della casa del mutilato, imbracciavano il mitra e avevano bombe a mano della forma di uova di struzzo, infilate in grosse tasche pettorali.
Facendoci cenno con la mano di tacere ci chiesero se sapevamo dove i tedeschi avessero piazzato, nella nostra zona, dei capisaldi di retroguardia.
Parlavano italiano! Al nostro stupore “ma siete italiani”? Ci dissero brevemente di sì e di rispondere alla loro richiesta di notizie.
Non lo sapevamo però li informammo che nel nostro viale non c’era neanche un tedesco e che forse si erano attestati sopra la Villa. Si allontanarono speditamente e dopo una decina di minuti udimmo sventagliate di mitra e poi il silenzio.
Sarà banale ma l’arrivo di paracadutisti italiani che si battevano contro i tedeschi per cacciarli dalla nostra città ci riempì di orgoglio: essere liberati da paracadutisti italiani assumeva la forza di una rivincita contro tutti gli stranieri, che ormai andavano su e giù per l’Italia non certo per fare turismo.
Ce l’avevamo fatta da soli a liberarci dagli invasori, ed anche se impensabile sino a un’ora prima, da oggi noi a Chieti potevamo dire di essere stati liberati dai nostri soldati. ………
Furono accolti con abbracci, baci e grida festose di liberazione dalle angosce che per mesi ci avevano oppresso. Finalmente per noi il peggio era passato.
Ritornando alla mattina 10 Giugno cominciarono a passare le prime Jeep e qualcuna portava una barra di ferro saldata davanti al cofano motore; non pensammo assolutamente a cosa servisse o cosa era ma si seppe poi era per evitare che durante il tragitto di guerra, le funi di acciaio messe attraverso le strade e i viottoli di guerra potessero danneggiare i soldati che erano in Jeep.
Poi cominciarono a sfilare truppe di vario genere specie gli indiani che con il loro turbante facevano tanta avventura di Salgari che da ragazzi (ma anche da adulti) avevamo letto nei vari libri d’avventure.
Poi ecco i carri armati di color sabbia (tipo Sherman) che lasciarono la strada abbastanza danneggiata ed erano molto alti con quelle torrette troneggianti, poi ancora mezzi corazzati con cannoni di vario tipo e poi camion, camion ed ancora truppe.
CARRO ARMATO “SHERMAN”. Entrò a Chieti insieme con altri mezzi militari.
Questo “strano" corteo salì per Via Arniense, Corso Marrucino fino alla Trinità per poi fermarsi, il grosso, a Piazza San Giustino.
Anzi già nella serata dietro il palazzo di Giustizia si era formato un bivacco di Indiani con tende varie e con vari fuochi per cucinare. La sera insieme con altri, andai a curiosare per poter comunicare con loro con il nostro scarso inglese. I risultati furono molto modesti ma il fatto che questi uomini fossero qui da noi e provenienti da paesi molto lontani ci faceva molto riflettere e ci venivamo in mente i soldati che avevamo visto nei film “Luce” girati in Africa settentrionale cioè truppe alleate di varie nazionalità con varie fogge e divise in azioni di guerra.
Da varie testimonianze:
Gli indiani, stendevano gli indumenti che loro stessi provvedevano a lavare. Non ho notato soldati americani ma molti polacchi ed anche le loro soldatesse poi marocchini, pochi francesi e qualche inglese (frasi estrapolate da ricordi di amici).
10 giugno 1944. Le operazioni militari (dagli scritti dell’epoca e da mie ricerche personali):
Il 10 giugno reparti della divisione “Nembo” del Gen. Morigi (comandante gruppo Folgore) entrarono per primi a Chieti sia dalla rotabile che proveniva da Ripa Teatina –Tollo-Miglianico che da quella che proveniva da Bucchianico-Guardiagrele.
Erano paracadutisti della 38°Compagnia del tenente Cavallero- XIII Btg del 184° Rgt paracadutisti, appartenenti alla II Brigata.
La zona di Chieti era stata lasciata dal Comando del V Corpo d’armata inglese alle unità italiane che puntarono verso il nord seguendo la strada Chieti-Penne-Teramo-Ascoli, questa fu la linea offensiva della “Nembo” appoggiata da reparti di artiglieria. Continuò la sua marcia verso le Marche e l’Emilia. Ai primi di luglio la “Nembo” si preparava a liberare Filottrano e il comando alleato stava disponendo il passaggio di un gruppo della divisione alle dipendenze del comando della Divisione polacca “Kresowa” ma il comando italiano mantenne per sé il gruppo e si preparò all’assalto di Filottrano.
Le forze della “Nembo” furono così schierate: 183° Rgt fanteria paracadutista, 184°Rgt paracadutista, 184°Rgt artiglieria. L’1^Brigata era così schierata: i btg bersaglieri con controcarri, 1 Btg alpini “Piemonte” con controcarro, 1 Btg bersaglieri di riserva, poi gruppi someggiati e motorizzati. Dopo aspri combattimenti il 13° Btg paracadutisti (184° Rgt) lo stesso che liberò Chieti, fece il suo ingresso nella cittadina marchigiana. Nell’azione parteciparono carri armati tipo “Sherman” della divisione polacca le perdite delle truppe italiane furono di circa 120 tra morti e dispersi e circa 230 feriti, furono fatti circa quaranta prigionieri, un migliaio di morti da parte tedesca. Per questa battaglia, gli alleati emisero un bollettino di congratulazioni.
Spingendosi in provincia d’Ancona, la “Nembo” con i marinai della “San Marco” e gli alpini, respinsero gli attacchi dei tedeschi ed occuparono Ostra Vetere.
Un battaglione di paracadutisti entrava a Macerata e dovettero fermare la loro azione propulsiva per mancanza di mezzi di trasporto, alle operazioni che stavano producendo parteciparono cinque Btg della “Nembo” con una forza di 5.000-5.500 uomini.
Fu liberata Urbino e i gruppi di combattimento “Friuli”, “Legnano”, “Folgore” e “Cremona” si spinsero ancora verso il Nord e liberarono molto città tra cui Ferrara e Bologna dove i bersaglieri e alpini della”Legnano” fecero il loro ingresso verso la metà di aprile.
Nella metà d’agosto mentre il CIL avanzava verso il nord, la “Nembo” fu tenuta in riserva perché sostituita, per riposo momentaneamente, da una divisione polacca, dopo i provvedimenti alleati per i nuovi armamenti, il C.I.L. riprese, la sua offensiva contro la linea Gotica, fino al giorno dell’armistizio e quindi della pace restarono in linea insieme agli alleati.
La linea Gotica fu l’ultimo baluardo difensivo tedesco prima di arrivare alla pianura Padana. Il contributo italiano alla liberazione di parte del proprio territorio fu in totale di circa 380 morti ed 880 feriti.
Queste in breve le vicissitudini della Divisione “Nembo” che ha liberato Chieti e che era innestato nel Corpo di Liberazione Italiano già 1°Raggruppamento Motorizzato, che nel Regno del Sud, ha tenuto alta la fiaccola della riscossa nazionale.
A settembre 1944 per una ristrutturazione è costituito un Gruppo di combattimento “Folgore” che, tra l’altra, accumuna il Rgt. paracadutisti “Nembo” battendosi valorosamente in alcuni cruenti scontri nel Bolognese (Tossignano e Grizzana). A marzo 1945 si formò con elementi del Rgt. una “Centuria Nembo” che partecipò ad un’azione di lancio, detta “Operazione “Herring” nella notte del 20 aprile 1945 su forze tedesche che si addensavano nel mantovano (Poggio Rusco).
Ma che fine ha fatto la “Nembo” dopo la fine della guerra?
Dalla fine della guerra a dicembre 1948 il Rgt. “Nembo” è trasformato in 183° Rgt. Fanteria “Nembo” della Divisione di fanteria “Folgore” sino al 1975. Poi è trasformato in Btg. e la 183° è aggregata alla Brigata “Gorizia”. Nel 1991 il 183° Btg. è sciolto e la bandiera di guerra assegnata al ricostituito 183°Btg. paracadutisti “Nembo” e trasferito da Gradisca a Pistoia e inquadrata nella BGT “Folgore”.
Ad aprile 1993 il 183°Btg. viene ad assumere il rango di Rgt. e tale rimarrà nella sede di Pistoia. Parteciperà ad aprile 1993 ad operazioni in Somalia e un suo ufficiale è stato decorato con medaglia d’oro, al valore dell’Esercito.
Partecipa in tutte le attività interessate nell’ambito della Bgt “Folgore”.
La bandiera è insignita di decorazioni al Valor militare e al valore civile.
Ha partecipato alla sfilata del 2 giugno 2006 a Roma.