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No, non restiamo a guardare!

di Gino Di Tizio

“Non restiamo a guardare!”, è l’invocazione contenuta nel volantino distribuito ieri dai giovani che hanno manifestato per Leonardo Vecchiolla, dinanzi alla Prefettura di Chieti.

Vecchiolla è il giovane accusato di tentato omicidio, devastazione e resistenza a pubblico ufficiale per la vicenda della camionetta dei carabinieri bruciata lo scorso 15 ottobre a Roma.

No, non restiamo a guardare, e cerchiamo di ascoltare e capire quei giovani, non molti in verità, che sono scesi in campo per dire la loro su quanto accaduto e sulla situazione generale del Paese.

Hanno difeso il loro compagno, che sarebbe stato arrestato “come atto mediatico e strumentale alla criminalizzazione di tutti i movimenti di contestazione”.

Qui però si impone subito una riflessione, con l’invito a farla diretto anche a coloro che hanno stilato il volantino: Leonardo Vecchiola è stato arrestato per un fatto certamente gravissimo, che poteva costare la vita di un carabiniere e che comunque è apparso una esplosione di una violenza cieca e da niente giustificata.

E’ innocente?

Si tratta di un arresto immotivato, perché non suffragato da prove?

Nel volantino ci sono versioni contrastanti rispetto alla situazione: infatti prima si afferma che non si intende “fare dichiarazioni innocentiste, colpevoliste o attendiste”, ma poi  si parla di “accuse non sorrette dal alcuna prova documentale” e si definisce Vecchiolla “solo una vittima della repressione”.

Di due una: o i carabinieri che hanno fatto scattare le manette ai polsi del ragazzo e il magistrato che ha convalidato l’arresto hanno visto lucciole per lanterne, oppure certe affermazioni appaiono una forzatura, un voler piegare la realtà a visioni di parte, come quella di affermare che “ad aggravare la situazione, già di per se drammatica, giunge puntuale la campagna diffamatoria della stampa compiacente che isola il singolo esponendolo al pubblico linciaggio e demonizza l’intero movimento”.

Non ci siamo, e dinanzi a queste prese di posizione davvero non possiamo “restare a guardare”, perché vi scorgiamo bruttissime cose, già vissute in passato.

Ci pare, per dirla tutta, una riproposizione dei “compagni che sbagliano” ai tempi del terrorismo. I giovani hanno il sacrosanto diritto di contestare  “il sistema iniquo”, ma che c’entra  bruciare le auto, devastare negozi, lanciare sassi e altro contro le forze dell’ordine?

Quando si scade nella violenza si perde anche il diritto di manifestare, e non si può prendere posizione “contro l’offensiva repressiva e la criminalizzazione dei movimenti” senza esprimere la minima condanna nei confronti di chi usa la violenza invece di portare in piazza solo le proprie ragioni.

C’è un concetto che non ci stancheremo mai di ripetere, soprattutto parlando ai giovani che non hanno vissuto le terribili stagioni del terrorismo: ogni libertà finisce quando va a toccare e limitare quella degli altri.

Infine su un punto ci sentiamo di condividere pienamente il contenuto del volantino: laddove si condanna “la pratica della carcerazione preventiva di per se contraria ai diritti dell’uomo e del cittadino e alla Costituzione Italiana”.

Questa sarebbe battaglia da fare, come quella contro la gogna mediatica che solitamente tocca a chi finisce nelle maglie della giustizia, prima ancora che ci sia un giudizio di colpevolezza.

Avete presenti le lenzuolate di foto segnaletiche offerte dopo qualsiasi operazione di polizia? Pubblicarle è una barbarie.

Ma di questo nessuno parla, nemmeno i giovani indignati.

E non aiuta a far crescere la società civile.

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